Il libro terzo del 'De morali disciplina' di Francesco Filelfo
Authors: Filelfo Francesco (Autore)
Opera: De morali disciplina (libro III)
Source: Francisci Philelphi De morali disciplina libri quinque, Venezia, Gualtiero Scoto, 1552 (CNCE 18994), pp. 37–53.
Language: Latino
Incipit:
Anaxagoras Clazomenius vir ex Ionica Philosophia clarissimus, quaerenti cuidam, quare quis mallet natum se esse, quam non esse;
Explicit:
quo reliquis libris, quae huic operi congruere videbuntur, certo quodam ordine persequamur.
Attested date: Venetiis. Cal. Feb. MDLII.
Normalized date: 1-Feb-1552
Keywords: Filosofia morale
Regesto:
Il libro prende avvio dalla discussione aristotelica sulle tre tipologie di vita – contemplativa, politica, edonistica (Etica Nicomachea I. 5, 1095b 15-1096a 10). Ognuno di questi ‘tria vivendi genera’ è collegato a un bene particolare: la vita contemplativa alla ‘sapientia’, quella politica o pratica alla ‘virtus’, e quella edonistica alla ‘voluptas’. Categorie differenti di persone rivendicano ciascuna il primato (‘praestantia’) di una tipologia di vita sulle altre. I dotti reputano la vita contemplativa massimamente degna; chi amministra la cosa pubblica, invece, considera la vita pratica migliore; chi, infine, si dedica primariamente all’appagamento dei sensi, come fanno i seguaci di Sardanapalo re degli Assiri, pone il piacere al primo posto. Dopo un breve excursus sul concetto di piacere, che Filelfo non solo non condanna ma considera elemento essenziale della ‘foelicitas’, l’autore passa ad annunciare il tema centrale del libro: la scelta morale (‘electio’).
Riprendendo la discussione aristotelica (Etica Nicomachea III), su cui peraltro l’intero libro è basato, Filelfo sottolinea che l’azione morale si dà solo in quegli ambiti che sono in qualche modo in nostro potere. Non c’è azione morale in tutte quelle circostanze che vengono decise dalla necessità o dalla fortuna, giacché nessuna scelta viene esercitata in questi casi. Ne consegue che non si è passibili di lode o di biasimo rispetto a fatti che vengono determinati dalla necessità o da casi fortuiti indipendenti da noi (‘Laudamur enim vituperamurque non eorum causa quae aut necessitate aut fortuna naturave existunt, sed quorum ipsi auctores sumus’ – p. 38). Virtù e vizio riguardano, dunque, quelle azioni di cui noi stessi siamo causa e principio (‘dilucidum est tam virtutem quam vitium circa eas versari actiones quorum nos sumus causa et principium’). Sempre sulla scorta del terzo libro della Nicomachea, Filelfo distingue poi tra azioni volontarie (‘ultroneae’) e involontarie (‘invitae’). Volontaria è l’azione compiuta senza condizionamenti esterni (‘ultroneum est quod agimus non coacti’). Quando invece tale condizionamento sussiste, ecco che la scelta sarà involontaria (‘quod enim coacti agimus, id invitum dicendum est’). Le azioni volontarie possono avvenire sulla base di tre fattori diversi: ‘appetitio’, ‘electio’, ‘cogitatio’. A sua volta l’‘appetitio’ è suddivisa in tre parti: ‘voluntas’, ‘ira’, ‘cupiditas’. Ciò che caratterizza le azioni volontarie, dunque, è il fatto che il loro principio sia interno (‘intrinsecus’): che a causarle sia una scelta razionale o un impulso irrazionale non fa differenza (su questo aspetto Filelfo si diffonde di nuovo a p. 42). Dall’altro lato, invece, l’azione involontaria implica sempre un elemento di violenza (‘at invitum omne est violentum’ – p. 39). Ne sono esempio gli effetti di turbamenti o malattie (‘aegritudines’), di fronte alle quali ci troviamo completamente passivi. La dottrina aristotelica, che considera volontarie anche quelle scelte mosse da ira e desiderio, solleva, agli occhi di un cristiano, alcune difficoltà. Se è vero che ‘flagitium omne iniustores homines reddit’, e che ‘incontinentia est flagitium’, allora si dovrà ammettere che gli uomini mossi dalla ‘cupiditas’ dell’‘incontinentia’ si procurino un ‘flagitium’ volontariamente. Oppure, come spiega Filelfo nella successiva ‘obiectio’, se l’azione mossa da ‘cupiditas’ è volontaria, quella che da ‘cupiditas’ è scevra sarà di necessità involontaria (‘Quod si illud ultroneum dicimus quod est secundum cupiditatem, quis neget id esse invitum quod sit praeter cupiditatem?’). A queste e ad altre simili obiezioni risponde Filelfo nelle pagine successive (pp. 39-41), ricorrendo anche alle massime di saggezza di antichi filosofi e poeti (Eraclito, Luciano, Stazio, Seneca). Filelfo passa infine a discutere la terza parte della ‘appetitio’, ovvero la ‘voluntas’ vera e propria (p. 41). Sono soltanto le azioni mosse da questa (e anche, naturalmente, da ‘electio’ e ‘cogitatio’) che, come aveva sostenuto Aristotele, risultano valutabili moralmente, nel senso che sono suscettibili di lode o di biasimo nell’ambito sociale (‘Tum, inquam, homines agere dicuntur quandocunque non sine cogitatione agunt’ – p. 42). In tal senso, soltanto gli esseri umani sono soggetti morali a pieno titolo. E non per tutti si può parlare di azione morale vera e propria: i bambini (‘pueri’), ad esempio, ne sono esclusi, mentre, per quanto riguarda le donne (‘mulieres’), la loro funzione deliberativa è spesso compromessa dalla loro natura ‘inconstans’ e ‘varia’, che impedisce loro di attuare una scelta pienamente morale.
Filelfo passa in seguito (pp. 42-44) a discutere l’azione involontaria (‘actio invita’). Riprende l’accostamento, già svolto sopra, tra l’azione involontaria e gli effetti di un turbamento o di una malattia (‘aegritudo’). Involontario, per Aristotele e per Filelfo, è dunque sinonimo di esterno (‘extrinsecus’) e violento (‘violentum’), nel senso di condizionato da fattori che risiedono al di fuori di noi e rispetto ai quali rimaniamo completamente passivi. Filelfo si chiede poi se le azioni fatte per amore siano volontarie oppure involontarie (‘An amor fit ex invitis’ – p. 43). Non pochi, afferma, sono coloro che considerano l’amore una causa esterna, dal momento che esso pare costringerci ad agire anche contro la nostra volontà. Cita a tal proposito il famoso verso di Ovidio: ‘Quidquid amor iussit, non est contendere totum’ (Heroides IV, 11). In effetti, concede Filelfo, molto spesso accade che quel che provoca i sussulti dello spirito non sia in nostro potere (‘afflati spiritu non sunt in potestate’ – p. 44). È il caso, ad esempio, dell’ispirazione divina che colpisce profeti e sibille, di fronte alla quale tali soggetti restano del tutto passivi. Non pare contraddittorio ritenere, dunque, che anche l’amore possa provocare effetti simili (‘Ex his vero non difficulter potest intelligi, quasdam intelligentias atque affectiones et quae ex eis proficiscuntur actiones, in nostra potestate non esse’). Termina così la discussione sulle azioni volontarie e involontarie (‘Hactenus de ultroneo et invito’) e si ritiene conclusa anche la disamina della ‘appetitio’.
Restano ancora da esaminare ‘cogitatio’ ed ‘electio’. Si comincia dalla ‘cogitatio’ (pp. 44-45), che Filelfo descrive come il processo mentale che conduce alla scelta vera e propria (‘agimus enim secundum electionem, sed consultando cogitandoque eligimus’). La sequenza è, dunque: ‘cogitatio’-‘electio’-‘actio’. L’azione che scaturisce da ‘cogitatio’, afferma Filelfo seguendo Aristotele, è dunque sempre un’azione volontaria (‘ultronea’), poiché ha in noi il proprio principio e la propria causa. Filelfo passa quindi a trattare diffusamente della ‘electio’ (pp. 45-49). La discussione, come ammette l’autore stesso, è interamente basata sul libro terzo della Nicomachea, che Filelfo segue da vicino (‘Haec omnia sumpta sunt ex Aristotelis libro III Ethicorum’). La scelta (‘electio’) differisce dalla volontà (‘voluntas’) in quanto la volontà riguarda il fine (‘voluntas autem finis est’ – p. 46), il quale coincide sempre col medesimo oggetto, ovvero la felicità (‘volumus omnes felices esse’). La scelta, invece, riguarda i mezzi e come tale può appuntarsi su fini anche molto diversi fra loro (‘eligimus vero, quo felices simus, alii sapientiam, alii prudentiam, alii virtutem, alii eloquentiam, alii imperium, alii divitias, alii gloriam, alii aliud’). La scelta è dunque operazione coordinata in vista di un fine (‘eligimus ea quae sunt ad finem’). Filelfo si chiede poi in che modo la scelta differisca dall’opinione (‘opinio’). La differenza risiede nel fatto che l’opinione riguarda il vero il falso, mentre la scelta il bene e il male. La ‘electio’ appartiene al genere delle azioni volontarie che rispondono all’intelligenza – l’intelligenza, ovviamente, dei principi morali (‘Ponimus, inquam, electionem in eo ultronei genere, quod est secundum intelligentiam’ – p. 47). La scelta, infatti, come già notato più sopra, avviene sempre in seguito a deliberazione (‘electio enim est cum cogitatione’). Ne consegue che per soggetti quali i bambini e le donne non si possa parlare in senso pieno di scelta, poiché lo strumento che governa la loro deliberazione è fallace (‘in pueris et foeminis non est electio’). La scelta, inoltre, riguarda la sfera del contingente, ovvero di quelle azioni che sono in nostro potere e che possono avvenire in un modo oppure in un altro. Non si dà scelta sui fatti necessari e immutabili, come ad esempio le verità matematiche (‘in mathematicis alia est ratio quam in agibilibus – p. 48) o le regole linguistiche (‘grammatici non consultant’). Filelfo usa qui sinonimicamente i termini ‘cogitatio’ (‘cogitare’) e ‘consultatio’ o ‘consilium’ (‘consultare’). La ‘electio, dunque, non coincide né con la ‘opinio’ né con la ‘voluntas’, sebbene presenti caratteristiche che la accomunano a entrambe (‘Cum ergo nec opinio electio sit, nec voluntas, quid eam tandem esse volumus? Electio profecto est, ut mihi quidem videtur, non hae ambae, sed tertium quiddam, tanquam harum utrumque. […] Antecedit enim voluntatem opinio. Ex utraque igitur sit electio’). La scelta, dunque, consta di volontà e di opinione (‘electio constare voluntate et opinione’ – p. 49). La scelta, poi, non riguarda il fine, ma solo i mezzi per raggiungere il fine (‘electio esse bonorum quae ad finem referuntur, et non ipsius finis’). Si giunge così alla definizione finale di ‘electio’: ‘est enim electio consultiva appetitio cum eorum intelligentia, quae agere ipsi possumus’ – una riproposizione fedele della concezione aristotelica espressa in Nicomachea III. 2 1112a 13-17. La scelta, per essere tale, presuppone la deliberazione (‘consultatio’ o ‘cogitatio’). Si può deliberare senza scegliere, ma non si può scegliere senza deliberare. Lo stesso rapporto intrattiene la scelta col volontario (‘ultroneum’): ogni scelta è necessariamente un atto volontario, ma non ogni atto volontario è frutto di scelta. Termina così la prima parte del libro, dedicata al concetto di scelta morale.
Nella seconda parte, assai meno estesa della precedente (pp. 50-53), Filelfo combina il contenuto dei capitoli conclusivi del terzo libro della Nicomachea con quello delle sezioni iniziali del successivo. Terminata, infatti, la trattazione generale su scelta e deliberazione, inizia l’esame particolareggiato delle singole virtù (‘De officiis et muneribus singulorum virtutum’). Si comincia dalla prudenza (‘prudentia’), di cui vengono prima elencate le sette operazioni (‘munera’) e poi le cinque capacità associate (‘comites’): ‘memoria’, ‘peritia’, ‘versutia’, ‘dexteritas’, ‘bona consultatio’ (p. 50). Questo stesso schema di ‘munera’, ‘officia’ e ‘comites’ viene applicato in maniera quasi invariata anche alle altre virtù morali: mansuetudine (‘mansuetudo’), coraggio (‘fortitudo’), temperanza (‘temperantia’), moderazione (‘continentia’), giustizia (‘iustitia’), liberalità (‘liberalitas’), magnanimità (‘magnanimitas’). Si analizzano infine i rispettivi vizi: ‘insipientia’, ‘iracundia’, ‘timiditas’, ‘luxuria’, ‘incontinentia’, ‘iniustitia’, ‘avaritia’, ‘pusillanimitas’.
Riprendendo la discussione aristotelica (Etica Nicomachea III), su cui peraltro l’intero libro è basato, Filelfo sottolinea che l’azione morale si dà solo in quegli ambiti che sono in qualche modo in nostro potere. Non c’è azione morale in tutte quelle circostanze che vengono decise dalla necessità o dalla fortuna, giacché nessuna scelta viene esercitata in questi casi. Ne consegue che non si è passibili di lode o di biasimo rispetto a fatti che vengono determinati dalla necessità o da casi fortuiti indipendenti da noi (‘Laudamur enim vituperamurque non eorum causa quae aut necessitate aut fortuna naturave existunt, sed quorum ipsi auctores sumus’ – p. 38). Virtù e vizio riguardano, dunque, quelle azioni di cui noi stessi siamo causa e principio (‘dilucidum est tam virtutem quam vitium circa eas versari actiones quorum nos sumus causa et principium’). Sempre sulla scorta del terzo libro della Nicomachea, Filelfo distingue poi tra azioni volontarie (‘ultroneae’) e involontarie (‘invitae’). Volontaria è l’azione compiuta senza condizionamenti esterni (‘ultroneum est quod agimus non coacti’). Quando invece tale condizionamento sussiste, ecco che la scelta sarà involontaria (‘quod enim coacti agimus, id invitum dicendum est’). Le azioni volontarie possono avvenire sulla base di tre fattori diversi: ‘appetitio’, ‘electio’, ‘cogitatio’. A sua volta l’‘appetitio’ è suddivisa in tre parti: ‘voluntas’, ‘ira’, ‘cupiditas’. Ciò che caratterizza le azioni volontarie, dunque, è il fatto che il loro principio sia interno (‘intrinsecus’): che a causarle sia una scelta razionale o un impulso irrazionale non fa differenza (su questo aspetto Filelfo si diffonde di nuovo a p. 42). Dall’altro lato, invece, l’azione involontaria implica sempre un elemento di violenza (‘at invitum omne est violentum’ – p. 39). Ne sono esempio gli effetti di turbamenti o malattie (‘aegritudines’), di fronte alle quali ci troviamo completamente passivi. La dottrina aristotelica, che considera volontarie anche quelle scelte mosse da ira e desiderio, solleva, agli occhi di un cristiano, alcune difficoltà. Se è vero che ‘flagitium omne iniustores homines reddit’, e che ‘incontinentia est flagitium’, allora si dovrà ammettere che gli uomini mossi dalla ‘cupiditas’ dell’‘incontinentia’ si procurino un ‘flagitium’ volontariamente. Oppure, come spiega Filelfo nella successiva ‘obiectio’, se l’azione mossa da ‘cupiditas’ è volontaria, quella che da ‘cupiditas’ è scevra sarà di necessità involontaria (‘Quod si illud ultroneum dicimus quod est secundum cupiditatem, quis neget id esse invitum quod sit praeter cupiditatem?’). A queste e ad altre simili obiezioni risponde Filelfo nelle pagine successive (pp. 39-41), ricorrendo anche alle massime di saggezza di antichi filosofi e poeti (Eraclito, Luciano, Stazio, Seneca). Filelfo passa infine a discutere la terza parte della ‘appetitio’, ovvero la ‘voluntas’ vera e propria (p. 41). Sono soltanto le azioni mosse da questa (e anche, naturalmente, da ‘electio’ e ‘cogitatio’) che, come aveva sostenuto Aristotele, risultano valutabili moralmente, nel senso che sono suscettibili di lode o di biasimo nell’ambito sociale (‘Tum, inquam, homines agere dicuntur quandocunque non sine cogitatione agunt’ – p. 42). In tal senso, soltanto gli esseri umani sono soggetti morali a pieno titolo. E non per tutti si può parlare di azione morale vera e propria: i bambini (‘pueri’), ad esempio, ne sono esclusi, mentre, per quanto riguarda le donne (‘mulieres’), la loro funzione deliberativa è spesso compromessa dalla loro natura ‘inconstans’ e ‘varia’, che impedisce loro di attuare una scelta pienamente morale.
Filelfo passa in seguito (pp. 42-44) a discutere l’azione involontaria (‘actio invita’). Riprende l’accostamento, già svolto sopra, tra l’azione involontaria e gli effetti di un turbamento o di una malattia (‘aegritudo’). Involontario, per Aristotele e per Filelfo, è dunque sinonimo di esterno (‘extrinsecus’) e violento (‘violentum’), nel senso di condizionato da fattori che risiedono al di fuori di noi e rispetto ai quali rimaniamo completamente passivi. Filelfo si chiede poi se le azioni fatte per amore siano volontarie oppure involontarie (‘An amor fit ex invitis’ – p. 43). Non pochi, afferma, sono coloro che considerano l’amore una causa esterna, dal momento che esso pare costringerci ad agire anche contro la nostra volontà. Cita a tal proposito il famoso verso di Ovidio: ‘Quidquid amor iussit, non est contendere totum’ (Heroides IV, 11). In effetti, concede Filelfo, molto spesso accade che quel che provoca i sussulti dello spirito non sia in nostro potere (‘afflati spiritu non sunt in
Restano ancora da esaminare ‘cogitatio’ ed ‘electio’. Si comincia dalla ‘cogitatio’ (pp. 44-45), che Filelfo descrive come il processo mentale che conduce alla scelta vera e propria (‘agimus enim secundum electionem, sed consultando cogitandoque eligimus’). La sequenza è, dunque: ‘cogitatio’-‘electio’-‘actio’. L’azione che scaturisce da ‘cogitatio’, afferma Filelfo seguendo Aristotele, è dunque sempre un’azione volontaria (‘ultronea’), poiché ha in noi il proprio principio e la propria causa. Filelfo passa quindi a trattare diffusamente della ‘electio’ (pp. 45-49). La discussione, come ammette l’autore stesso, è interamente basata sul libro terzo della Nicomachea, che Filelfo segue da vicino (‘Haec omnia sumpta sunt ex Aristotelis libro III Ethicorum’). La scelta (‘electio’) differisce dalla volontà (‘voluntas’) in quanto la volontà riguarda il fine (‘voluntas autem finis est’ – p. 46), il quale coincide sempre col medesimo oggetto, ovvero la felicità (‘volumus omnes felices esse’). La scelta, invece, riguarda i mezzi e come tale può appuntarsi su fini anche molto diversi fra loro (‘eligimus vero, quo felices simus, alii sapientiam, alii prudentiam, alii virtutem, alii eloquentiam, alii imperium, alii divitias, alii gloriam, alii aliud’). La scelta è dunque operazione coordinata in vista di un fine (‘eligimus ea quae sunt ad finem’). Filelfo si chiede poi in che modo la scelta differisca dall’opinione (‘opinio’). La differenza risiede nel fatto che l’opinione riguarda il vero il falso, mentre la scelta il bene e il male. La ‘electio’ appartiene al genere delle azioni volontarie che rispondono all’intelligenza – l’intelligenza, ovviamente, dei principi morali (‘Ponimus, inquam, electionem in eo ultronei genere, quod est secundum intelligentiam’ – p. 47). La scelta, infatti, come già notato più sopra, avviene sempre in seguito a deliberazione (‘electio enim est cum cogitatione’). Ne consegue che per soggetti quali i bambini e le donne non si possa parlare in senso pieno di scelta, poiché lo strumento che governa la loro deliberazione è fallace (‘in pueris et foeminis non est electio’). La scelta, inoltre, riguarda la sfera del contingente, ovvero di quelle azioni che sono in nostro potere e che possono avvenire in un modo oppure in un altro. Non si dà scelta sui fatti necessari e immutabili, come ad esempio le verità matematiche (‘in mathematicis alia est ratio quam in agibilibus – p. 48) o le regole linguistiche (‘grammatici non consultant’). Filelfo usa qui sinonimicamente i termini ‘cogitatio’ (‘cogitare’) e ‘consultatio’ o ‘consilium’ (‘consultare’). La ‘electio, dunque, non coincide né con la ‘opinio’ né con la ‘voluntas’, sebbene presenti caratteristiche che la accomunano a entrambe (‘Cum ergo nec opinio electio sit, nec voluntas, quid eam tandem esse volumus? Electio profecto est, ut mihi quidem videtur, non hae ambae, sed tertium quiddam, tanquam harum utrumque. […] Antecedit enim voluntatem opinio. Ex utraque igitur sit electio’). La scelta, dunque, consta di volontà e di opinione (‘electio constare voluntate et opinione’ – p. 49). La scelta, poi, non riguarda il fine, ma solo i mezzi per raggiungere il fine (‘electio esse bonorum quae ad finem referuntur, et non ipsius finis’). Si giunge così alla definizione finale di ‘electio’: ‘est enim electio consultiva appetitio cum eorum intelligentia, quae agere ipsi possumus’ – una riproposizione fedele della concezione aristotelica espressa in Nicomachea III. 2 1112a 13-17. La scelta, per essere tale, presuppone la deliberazione (‘consultatio’ o ‘cogitatio’). Si può deliberare senza scegliere, ma non si può scegliere senza deliberare. Lo stesso rapporto intrattiene la scelta col volontario (‘ultroneum’): ogni scelta è necessariamente un atto volontario, ma non ogni atto volontario è frutto di scelta. Termina così la prima parte del libro, dedicata al concetto di scelta morale.
Nella seconda parte, assai meno estesa della precedente (pp. 50-53), Filelfo combina il contenuto dei capitoli conclusivi del terzo libro della Nicomachea con quello delle sezioni iniziali del successivo. Terminata, infatti, la trattazione generale su scelta e deliberazione, inizia l’esame particolareggiato delle singole virtù (‘De officiis et muneribus singulorum virtutum’). Si comincia dalla prudenza (‘prudentia’), di cui vengono prima elencate le sette operazioni (‘munera’) e poi le cinque capacità associate (‘comites’): ‘memoria’, ‘peritia’, ‘versutia’, ‘dexteritas’, ‘bona consultatio’ (p. 50). Questo stesso schema di ‘munera’, ‘officia’ e ‘comites’ viene applicato in maniera quasi invariata anche alle altre virtù morali: mansuetudine (‘mansuetudo’), coraggio (‘fortitudo’), temperanza (‘temperantia’), moderazione (‘continentia’), giustizia (‘iustitia’), liberalità (‘liberalitas’), magnanimità (‘magnanimitas’). Si analizzano infine i rispettivi vizi: ‘insipientia’, ‘iracundia’, ‘timiditas’, ‘luxuria’, ‘incontinentia’, ‘iniustitia’, ‘avaritia’, ‘pusillanimitas’.
Authors and cited texts: Anaxagoras Philosophus
Aristoteles
Aristoteles (EN, III)
Aristoteles (EN, IV)
Aristoteles (MM)
Heraclitus Philosophus
Lucius Annaeus Seneca (Phaedra sive Hippolitus, 604-605)
Lucius Annaeus Seneca (Thyestes, 176-196)
Marcus Annaeus Lucanus (Bellum civile (Pharsalia) II, 439-440)
Philolaus Pytagoricus
Plato
Publius Ovidius Naso (Heroides IV, 11-15)
Publius Ovidius Naso (Metamorphoses VII, 20-21)
Publius Papinius Statius (Thebais VIII, 751-757)
Publius Vergilius Maro (Aeneis I, 76-77)
Publius Vergilius Maro (Aeneis IV, 569-570)
Pythagoras Philosophus
Socrates
Titus Lucretius Carus
Aristoteles
Aristoteles (EN, III)
Aristoteles (EN, IV)
Aristoteles (MM)
Heraclitus Philosophus
Lucius Annaeus Seneca (Phaedra sive Hippolitus, 604-605)
Lucius Annaeus Seneca (Thyestes, 176-196)
Marcus Annaeus Lucanus (Bellum civile (Pharsalia) II, 439-440)
Philolaus Pytagoricus
Plato
Publius Ovidius Naso (Heroides IV, 11-15)
Publius Ovidius Naso (Metamorphoses VII, 20-21)
Publius Papinius Statius (Thebais VIII, 751-757)
Publius Vergilius Maro (Aeneis I, 76-77)
Publius Vergilius Maro (Aeneis IV, 569-570)
Pythagoras Philosophus
Socrates
Titus Lucretius Carus
Lexicon index: appetitio
cogitatio
consultatio
cupiditas
electio
invitum
ira
ultroneum
voluptas
cogitatio
consultatio
cupiditas
electio
invitum
ira
ultroneum
voluptas
Onomastic-Persons Index: Aspasia di Mileto
Cornelia
Elena di Troia, Elena di Sparta, Ελένη
Hercules
Giuda Iscariota
Ippolito
Lysis
Medici Lorenzo de'
Marcus Atilius Regulus
Medea
Menalippo
Paride
Fedra
San Lorenzo
Assurbanipal
Smindiride il Sibarita
Cornelia
Elena di Troia, Elena di Sparta, Ελένη
Hercules
Giuda Iscariota
Ippolito
Lysis
Medici Lorenzo de'
Marcus Atilius Regulus
Medea
Menalippo
Paride
Fedra
San Lorenzo
Assurbanipal
Smindiride il Sibarita
Note:
Il 'De morali disciplina' è privo di una tradizione manoscritta. Il testo è apparso a stampa due volte durante il Cinquecento: dapprima nel 1552, a Venezia, per i tipi di Gualtiero Scoto (CNCE 18994), e in seguito in ristampa, nel 1578, sempre a Venezia, con titolo della collezione mutato: 'De republica recte administranda atque aliis ad moralem disciplinam pertinentibus rebus' (l'edizione non fornisce il nome dello stampatore e non è catalogata su Edit16). Si fornisce di seguito link alla risorsa in formato digitale: https://books.google.ca/books/about/De_republica_recte_administranda_atque_a.html?id=ai5hAAAAcAAJ&redir_esc=y
Un volgarizzamento anonimo cinquecentesco è preservato nel codice Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 76.69, fol. 1r-51v. Si fornisce di seguito link alla risorsa:
https://tecabml.contentdm.oclc.org/digital/collection/plutei/id/1114375/rec/3358
Un volgarizzamento anonimo cinquecentesco è preservato nel codice Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 76.69, fol. 1r-51v. Si fornisce di seguito link alla risorsa:
https://tecabml.contentdm.oclc.org/digital/collection/plutei/id/1114375/rec/3358
Bibliography Citation: Francesco Fiorentino, Il Risorgimento filosofico nel Quattrocento. Napoli, Tipografia della Regia Università, 1885.
Felice Tocco, Ancora del ‘De morali disciplina’ di F. Filelfo, «Archiv für Geschichte der Philosophie», 9 (1896), pp. 486-491.
Aristide Calderini, Ricerche intoro alla biblioteca e alla cultura greca di Francesco Filelfo, «Studi italiani di filologia classica», 20 (1913), pp. 204-424. (link)
Jill Kraye, Francesco Filelfo’s lost letter De Ideis, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 42 (1979), pp. 236-249. (link)
Jill Kraye, Francesco Filelfo on emotions, virtues and vices: A re-examination of his sources, «Bibliotheque d’Humanisme et Renaissance», 43 (1981), pp. 129-140.
Concetta Bianca, Auctoritas e veritas. Il Filelfo e le dispute tra Platonici e Aristotelici, in Francesco Filelfo nel quinto centenario della morte, Padova, Antenore, 1986, pp. 207-247.
Diana Robin, Filelfo in Milan: Writings 1451-1477, Princeton, Princeton University Press, 1991, pp. 138-166 e 226-246.
Eugenio Garin, Filosofi italiani del Quattrocento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012.
Felice Tocco, Ancora del ‘De morali disciplina’ di F. Filelfo, «Archiv für Geschichte der Philosophie», 9 (1896), pp. 486-491.
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Jill Kraye, Francesco Filelfo on emotions, virtues and vices: A re-examination of his sources, «Bibliotheque d’Humanisme et Renaissance», 43 (1981), pp. 129-140.
Concetta Bianca, Auctoritas e veritas. Il Filelfo e le dispute tra Platonici e Aristotelici, in Francesco Filelfo nel quinto centenario della morte, Padova, Antenore, 1986, pp. 207-247.
Diana Robin, Filelfo in Milan: Writings 1451-1477, Princeton, Princeton University Press, 1991, pp. 138-166 e 226-246.
Eugenio Garin, Filosofi italiani del Quattrocento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012.
Responsible: Tommaso De Robertis (2014-04-10)
Last edit: 24-Apr-2024
Creation: 24-Apr-2024
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