Quae annis superioribus Mantuae iacta mihi sunt

venerabiles futuri tum caeteris omnibus infidelibus legem daturi sitis. Vale.

La lettera si estende fino alle dimensioni un breve trattato che espone le ragioni in favore della guerra contro i Turchi. Dopo aver elogiato le virtù morali e militari dei Veneziani, F. sottolinea come di fronte a una simile minaccia non si possa più tenere un atteggiamento neutrale, ma si debbano prendere adeguate contromisure. Dopo la presa del Peloponneso, essi non minacciano più solo l'Ungheria e la Dalmazia, ma l'Europa intera e l'Italia in particolare. F. ricorda l'orazione tenuta a Mantova di fronte a Pio II dal Foscarini, per sollecitare l'indizione della crociata contro i Turchi: nonostante l'accorato appello, fatto con fine vis oratoria, il Foscarini non fu ascoltato.
Il poeta passa poi a descrivere nei dettagli la consistenza e la tipologia dell'esercito turco, mettendone anche in evidenza i punti deboli su cui si dovrebbe fare leva. Solo se i Cristiani saranno uniti e si mostreranno moralmente degni dell'impresa riusciranno a sconfiggere i Turchi. F. difatti individua una delle cause della caduta di Costantinopoli nella sua profonda decadenza e per tale ragione scelta come bersaglio da Maometto II. Non altrettanto invece è accaduto ad altre città dell'impero bizantino.

La lettera è menzionata in alcune epistole successive: ep. XX 1, a Iacopo Ammannati Piccolomini; ep. XX 6, a Michele Orsini; ep. XX 7, a Iohann Rot (a cui F. allegò anche una copia della missiva a Foscarini).