Quod nihil apud me duxerim antiquius benivolentia tua

quasi clipeo tectus Vulcani ictus Apollinis contemnas.

F., appena sbarcato dalla nave che l'ha riportato a Venezia da Bisanzio, trova una città devastata dalla pestilenza (descritta - con movenze classicheggianti e ripetuti richiami all'Iliade - come turbamento di Giunone, cioè l'aria, o come "colpo" inferto da Apollo). Si rivolge allora al Giustinian, al quale è vincolato da eterna observantia sia per gli antichi benefici ricevuti, sia per le promesse da quello recentemente fatte tramite lettera, in conseguenza delle quali F., dichiara, ha abbandonato un sovrano dei meriti e della statura di Giovanni Paleologo. Al veneziano, al sicuro perché trasferitosi sull'isola di Murano (quasi protetto da uno "scudo di Vulcano" costituito dai vetri lì esistenti), F. rivolge, non sapendo che cosa fare, una richiesta di consiglio.

La prima parte del testo dell'ep. si ricostruisce grazie al testo degli incunaboli, data la mutilazione presente all'inizio del ms. Triv.