Tulit ad me nuper Mabilius, iuvenis modestus

quod tibi ulli usui sit futurum, id omne penes te fore existimato. Vale.

Mabilio da Novate ha appena portato a F. l'opera di Giovanni Vesto, un ampio commento sull'Etica a Nicomaco di Aristotele. Il poeta si congratula con Vesto per la qualità di quello scritto e prende lo spunto per disquisire sulle divergenti opinioni che nell'antichità ci sono state tra i filosofi, in particolare tra gli Stoici, a proposito della definizione di ciò che sia onesto e ciò che sia turpe e se i comportamenti che essi descrivono debbano essere attribuiti alla natura umana o non piuttosto alla "consuetudo". Questo breve excursus serve a Filelfo come pretesto per chiedere a Vasto se egli sia in possesso di un libro di Alberto Magno intitolato De natura deorum, che Filelfo desidera molto leggere: ne ha sentito molto parlare, ma non ha ancora trovato qualcuno che lo possieda o che lo abbia letto. Nel caso in cui Vesto non l'avesse nella sua biblioteca, il poeta lo prega di aiutarlo a trovare il volume.

Come già osservato in Gionta, Convivia (pp. 52-53), non è dato sapere a quale opera di Alberto Magno corrisponda quella che Filelfo chiama De natura deorum; potrebbe forse trattarsi della prima parte del De causis et processu universitatis a prima causa.