Nobis quid doleas fare, Bisulcere

felix ganeo lustris.

Con malcelato sarcasmo, F. invita Bizzozero ad esprimere la causa della sua afflizione, a prescindere dalla cattiva fama di nascita da doppio padre - l'uno 'textor', l'altro 'rabula' - e di beone (vv. 1-7). Bizzozero risponde addolorandosi per quella sua pessima nomea, che non solo lo contrappone a uomini degni di lode e onori come Carlo Gonzaga, ma addirittura lo riduce a un individuo da nulla, indegno di essere citato in un discorso pur disdicevole (vv. 8-22). F. controbatte riprendendo e accentuando i motivi satirici addotti in apertura, ora combinati in un'aperta invettiva: il personaggio è raffigurato mentre, ubriaco, si trascina barcollante per taverne e bordelli, riflettendo in sé sia la pessima eredità trasmessagli dai due padri, sia la turpe nascita da madre adultera (vv. 23-35). Il paragone contrastivo con Ercole, eroe valoroso e celebre per la sua discendenza da due padri, conclude l'ode portando il personaggio all'apice del ridicolo e del grottesco (vv. 36-44).

metro: sistema distico di asclepiadeo minore e ferecrateo