Quod minus frequenter scribo tuae sanctitati, pater beatissime, nulla id negligentia mea fit

Vale, beatissime pater et domine claementissime, cui me etiam atque etiam quamdevotissime commendo.

F. scrive una lunga tirata encomiastica di Papa Paolo II: ne elogia le eccelse qualità e virtù, ricordando i suoi antenati e predecessori nel pontificato, lo zio Eugenio IV e Niccolò V. In principio si scusa di non scrivergli più spesso e giustifica il suo silenzio per la preoccupazione di non distoglierlo dalle sue gravi occupazioni, ma d'altra parte, per non essere accusato d'ingratitudine, non si può esimere dal rivolgersi al Pontefice. Sono, quindi, lodati gli uomini dotti, che possono essere di aiuto, a differenza degli ignoranti, pur se di santi costumi; e il destinatario, il quale rifulge per la sua dottrina e cultura, è invitato a farsi protettore degli intellettuali e degli uomini di lettere, esercitando il suo augusto mecenatismo verso di loro. A tal proposito, F. approfondisce nel finale il tema centrale della sua lettera commendatizia in favore di un suo ex scolaro, Leonardo Griffi, di cui esalta le doti morali, l'eccellenza fisica e culturale, e prega caldamente il Papa di premiarlo per la sua rinuncia allo stato secolare e l'ingresso nella carriera ecclesiastica con una prepositura, un beneficio non grande in proporzione ai meriti del giovane, ma di grande significato se concesso dalla sua munificenza.