Omnis tyrannis impium nutrit scelus

Passim latrones dant fugam turpi metu.

F. esprime in apertura amare considerazioni sul generale sovvertimento di ogni valore morale e sul clima di totale corruzione che affligge la Milano contemporanea, oppressa dal governo popolare della Repubblica Ambrosiana: ogni legge morale è abolita, la violenza domina ogni azione (vv. 1-18). Da qui scaturisce la preghiera a Giove (vv. 19-55) affinché offra il suo potente aiuto a quella popolazione ormai allo stremo, in balia degli abietti Capitani del popolo e soggetta a ogni feroce angheria e immotivato omicidio (vv. 19-39); F. esprime quindi la speranza nell'avvento di un 'princeps' illuminato che, con l'approvazione divina, ristabilisca l'ordine e la pace (vv. 40-48). Consapevole delle colpe dei Milanesi, che non hanno tributato al Visconti le dovute esequie, egli chiede perdono a nome dei suoi concittadini (vv. 49-55). A conclusione dell'ode è raffigurato il tumulto per il pane, con cui il popolo si ribella ai tiranni e chiede l'abbattimento di quel regime di 'ficta libertas' (vv. 56-66).

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