Ni plane intelligerem ea te esse aequanimitate atque sapientia, Alexander Sphortia, ut id solum dicas in malis

Sed cum haec longe melius abs te futurum iri quam a me dici posse animadverto, longior esse nolim. Vale.

F. invia ad Alessandro Sforza, signore di Pesaro, un'epistola consolatoria per la morte della figlia Battista, appellandosi alla sapienza del destinatario e ricordandogli che la morte è un evento naturale cui tutti i mortali in quanto esseri corruttibili sono soggetti. Bisogna pertanto rassegnarsi ad un fatto che si può perfino considerare un bene, e s'inserisce nella teoria degli umori per cui questi ultimi si distribuiscono insieme al calore negli elementi naturali. Soltanto l'anima sopravvive alla corruzione della carne e partecipa della divinità. Inoltre non possiamo dolerci di ciò che avviene senza la nostra colpa. Durante la vita siamo immersi nel turbine dell'esistenza e dei suoi molti accidenti, mentre la morte è un porto di tranquillità e pace nel gaudio eterno. Inoltre Battista, donna virtuosa, gode ora della visione beatifica di Dio e riceve da Dio il premio per i suoi alti meriti. Infine, con la morte ha evitato la vecchiaia con tutte le sue brutture. F. esorta dunque lo Sforza a consolarsi e a ritenere un bene piuttosto che un male quanto accaduto a sua figlia.