Haud facile dixerim, Frederice, tibine magis gratulandum nunc censeam, an huic potius turbulentissimae tempestati in tanto totius Italiae a Turcis periculo

ut dum eam supra modum nobis expetimus, aliis per omne ludibrium pereamus. Vale, princeps optime ac magnanime.

F. indirizza a Federico III da Montefeltro, gonfaloniere di S. Romana Chiesa, una vibrata protesta contro i recenti avvenimenti che hanno visto Papa Sisto IV attaccare Città di Castello e muovere una guerra in Italia, trascurando il pericolo esterno rappresentato dai Turchi, i quali diventano ogni giorno più aggressivi e sono alle porte dell'Italia. F. cita pertanto diversi exempla tratti dall'enciclopedia antichi atti a deprecare il peccato dell'iracondia, da cui il Pontefice dovrebbe essere alieno, mostrandosi, invece, incline al perdono e favorendo la riconciliazione. Sul modello del Cristo mite e mansueto, il suo Vicario in terra dovrebbe improntare la sua azione alla clemenza. I Tifernati, i poveri abitanti di Città di Castello sono diventati, invece, i "Turchi" dell'Italia, oggetto di un attacco feroce, mentre i veri nemici possono profittare delle lotte intestine che dividono i potentati italiani, sottomettendo la penisola. F. intravvede una fosca premonizione che si augura possa non avverarsi, malgrado il comportamento sconsiderato dei Cristiani divisi da lotte fratricide e inclini ad atti di crudeltà paragonabili a quelli dei barbari.