Litterae istinc ad mercatorem quendam perlatae sunt, quibus continebatur, quod molestissime audivi

te et oro et obtestor ut tibi caveas a morbo isto pestilenti, cui maximum remedium ducitur fuga. Vale.

F. scrive al card. Giovanni Arcimboldi, commentando la notizia appena giuntagli della prematura scomparsa del suo ex-discepolo Giovanni Pietro Arrivabene, che lo ha addolorato molto; bisogna tuttavia accettare la legge di necessità della natura. D'altro canto si meraviglia del silenzio ostinato del card. Arcimboldi, il quale da ragazzo ha imparato da lui l'arte dell'eloquenza oratoria, non di tacere. Del resto i precettori sono come genitori per i loro discepoli e, ora che ha raggiunto la dignità cardinalizia, F. si aspetta che l'Arcimboldi, in quanto ex scolaro, mostri la sua gratitudine verso l'antico maestro. Infine, gli raccomanda di fuggire dalla pestilenza.

Sulla falsa notizia della morte di Giovanni Pietro Arrivabene, vd. la notizia al medesimo dell'11 settembre 1476 (= XLVI 15), che commenta la genesi dell'equivoco.