Si ante hunc diem, qui est quartus Kalendas Octobres, accepissem quo in loco post discessum ex Urbe constitisses

Caeterum ecclesiae multa concedamus oportet, apud quam humilitas perinde atque honesta quaedam et pro ratione animi submissio arrogantiae atque superbiae adversatur.

In assenza di nuove notizie F. non ha scritto altre lettere al card. Giovanni Arcimboldi, sapendo che ha seguito il Papa Sisto IV a Foligno. Ora è mosso da un desiderio sempre più veemente di venerare il card. Arcimboldi, insigne per la sua eloquenza e la sua capacità oratoria, e di rivederlo presto, una volta cessata la pestilenza. D'altra parte, ribadisce che lo straripamento del Tevere è stato un segno premonitore della peste, causata dagli effluvi mortali del basilisco, un serpente in grado di uccidere gli uomini, come hanno scritto gli autori antichi. F. consiglia, dunque, al cardinale di evitare Pavia, dove si è diffuso il morbo, mentre Milano ne è stata preservata grazie alla saggezza del duca, il quale l'ha isolata con un cordone sanitario. Infine lo prega di raccomandarlo presso il Papa e loda ancora la sua sapienza congiunta all'umiltà, per cui rifiuta ogni elogio e professa una santa umiltà.

Fra gli antichi autori sul basilisco, serpente leggendario dal fiato mortale per gli uomini, cui accenna F., vd. Plin. nat., VIII 78-79.