Otio qui se dederint inerti

principes cunctos radiis ut astra / vincit Apollo.

Dopo un incipit di tono moraleggiante in cui condanna l'ozio e l'inerte inattività, che intorpidiscono il corpo e le membra causando un torpore simile a quello della morte (vv. 1-16), F. si presenta nelle vesti di vate celebrator, incaricato di cantare nei suoi versi le gloriose imprese di grandi personaggi storici (vv. 17-32). L'oggetto della sua laus poetica si concretizza in Carlo VII di Francia, illustre in tutto il mondo per la sua gloria militare e le sue impareggiabili virtù, ma soprattutto unico baluardo di difesa contro la minaccia turca (vv. 32-60). Rimandando ad un futuro prossimo la compiuta celebrazione del personaggio nei toni dell'epica (vv. 61-68), F. traccia il proprio iter poetico che, a conclusione dell'arduo labor della satira, approda ora alla requies della lirica (vv. 69-78): da ciò scaturisce una fitta serie di exempla storico-mitologici (da Achille e Alessandro Magno a Pitagora ed Empedocle; dai mitici Anfione, Arione e Orfeo ai sovrani Saul e Gelone) volta ad illustrare i mirabili effetti del canto lirico sull'animo umano e sull'infuriare delle passioni (vv. 79-156). Volendo poi definire il carattere di varietas metrica e stilistica insito alla propria poesia lirica, F. disegna una programmatica polifonia, che abbraccia i diversi strumenti musicali e i generi di harmonia ad essi connessi (vv. 157-168). Anche in questo caso la teorizzazione è accompagnata da un nucleo di exempla paradigmatici, che vanno dalle leggendarie figure dei cantori Tirteo e Atea al mito del dono della lira da parte di Mercurio al fratello Apollo (vv. 169-196). Nel finale, F. ribadisce la scelta della lirica quale provvisorio giardino ristoratore (vv. 197-200) e, con schema ad anello rispetto alla prima parte dell'ode, richiama l'eroica figura di Carlo VII promettendogli la dovuta laus nell'epica (vv. 201-220).

Metro: strofe saffica.